06/05/2018, Grotta di Monte Cucco – Galleria dei Gessi
Ormai sono passati più di due mesi da quando io e Matteo siamo tornati in questi luoghi fantastici ma il ricordo è ancora nitido. Dopo quasi un mese e mezzo di trasferte e vari giri solo ora trovo il tempo e l’ispirazione giusta per scrivere.
E’ da qualche anno, da quando avevamo fatto il rilievo della Galleria dei Gessi, ancora all’inizio ed inesperti, che sapevamo di doverlo rifare. Quel giorno avevo fatto buona parte delle misurazioni con il DistoX senza ricordarmi che avevo l’orologio al polso, cosa che aveva sicuramente ed irrimediabilmente alterato le misurazioni della bussola digitale, restituendo una direzione dello sviluppo del ramo errata. Di quanto non si poteva sapere, l’unico modo era rifare il rilievo.
Siamo in 2, leggeri, trasportiamo solo l’attrezzatura da rilievo e poco cibo, obbiettivo iniziare a rifare il rilievo della Galleria dei Gessi e uscire in giornata ad un orario decente.
La montagna ci accoglie come poche volte accade, la pioggia prevista non c’è ed il leggero vento ci tiene freschi durante l’avvicinamento.
Ci cambiamo all’ingresso e partiamo spediti. Era da tempo che non andavo in grotta cosi scarico, sembra di volare. Senza neanche accorgercene in 1 ora siamo alla base del Terzo Ramo, dopo i Cunicoli del Vento, l’inizio delle risalite verso Sala Agnese.
Qui la grotta riparte totalmente verticale con un fantastico alternarsi di pozzi cascata e meandri.
Il congiungimento con il Terzo Ramo è stato scoperto solo successivamente. La prima risalita fu fatta al Pozzo dell’Aquila. Ancora ricordo, Io, Lorenzo, Galatà, affrontare avvicinamenti nella neve sino all’inguine per scendere nella profondità della terra e portare sempre più in là il confine del conosciuto, fortemente spinti e sostenuti dal tarlo dell’esplorazione che ci aveva trasmesso Cristiano, nostro grande amico e maestro di grotta.
Il Pozzo dell’Aquila arriva alla base del Pozzo Farfalla dove, tramite il Meandro della Zanzara, si unisce alla parte sommitale del Terzo Ramo. Da qui la risalita diventa stupenda, pareti liscissime, lavorate nei millenni dall’acqua che ancora scroscia imperterrita li a fianco. I nomi li decidemmo al momento: Pozzo dell’Aquila per la chiacchierata fatta con il Lello quel giorno prima di entrare, Cunicolo della Zanzara per l’insetto trovato depositato dall’acqua sulle concrezioni. Pozzo della Farfalla lo decisi io, dedicato a Martina Floridi, volata via troppo presto, all’improvviso, in una limpida mattina d’inverno.
Saliamo spediti e una pedalata dopo l’altra ci divoriamo la corda, arriviamo in Sala Agnese in 45 minuti, un ora e tre quarti dall’ingresso. Ci dirigiamo subito alla galleria dei Gessi, galvanizzati dall’inaspettato tempo a disposizione. Avevamo preventivato circa 3 ore per arrivare li. Forse possiamo riuscire a portare il rilievo in fondo già da oggi!
Da Sala Agnese, percorso un breve tratto di corda, ci si trova all’inizio della galleria. Sulla destra l’imbocco del cunicolo del Fachiro, dritto davanti l’inizio di un breve meandro che mette alla prova molti degli speleo che lo percorrono. Da qui iniziano i gessi.
Enormi blocchi bianchi se ne stanno appoggiati qua e la nella galleria, risaltati dal forte contrasto con il fondo marrone. Sembrano blocchi di neve. Me li ricordo il primo periodo, bianchi ed immacolati. Oggi sono sporchi, infangarti dal passaggio di noi speleologi. E torna sempre in mente l’eterno irrisolto quesito sui limiti dell’esplorazione e l’alterazione della grotta. Meglio conosciuto ed alterato o immacolato ma sconosciuto all’uomo? Ma soprattutto, se nessuno c’è stato , lo ha visto, lo ha percepito, esiste?
Proseguiamo nella galleria, un basso passaggio su sedimenti di gesso (Moby Dick) costringe a strisciare per qualche metro e poco dopo si incontra la “polo”, un passaggio all’interno di un foro scavato dall’acqua direttamente nel gesso, fantastico.
Da qui riprendiamo il rilievo. La nostra tecnica è ormai rodata e complice la forte intesa proseguiamo macinando caposaldo dopo caposaldo la topografia. Poter vedere in tempo reale il rilievo che compare, il lavoro che prende già una forma semi definitiva dona fin da subito una grande soddisfazione e la motivazione ad andare avanti il più possibile.
Rileviamo la zona dei cavolfiori proseguendo sino alla Sala Finale. Da qui le strade diventano tre, un breve meandro sulla parte sinistra porta all’imbocco del Ramo dell’Aragonite, sulla destra si risale invece verso le Risalite di Pino. Noi scegliamo di proseguire nella galleria centrale, la via principale che porta al sifone secco e da li al fondo del Ramo dei Gessi.
Progredendo con il rilievo decidiamo di tralasciare alcuni dei numerosi bivi che si incontrano lungo la strada, rileviamo le gallerie laterali più brevi e lasciamo indietro quelle più lunghe, toglierebbero troppo tempo al raggiungimento del nostro obbiettivo. Torneremo successivamente a rilevarle. Lasciamo dei caposaldi fissi per poterci ricollegare.
Dopo qualche ora raggiungiamo il fondo. Breve valutazione sul tempo che ci rimane e decidiamo di rilevare la faglia laterale che si apre nella parte destra della sala. Tempo indietro io, Lorenzo e Galatà ci eravamo infilati qui, strisciando sotto alla lunga frana terminale, attirati dalla forte aria presente. Facemmo vari tentativi con incenso e fumogeni ma niente, la squadra esterna che stava scavando al Vipraro li sopra non notò alcuna traccia del nostro segnale.
E’ ora di riprendere la via dell’uscita, siamo molto soddisfatti: 750 metri di rilievo e la grande curiosità di paragonarlo a quello già esistente per poter valutare l’errore fatto in passato.
Lasciamo questi luoghi procedendo contenti verso l’uscita, il nostro è un arrivederci, serviranno almeno altre due uscite dedicate per completare il rilievo dettagliato dell’intero ramo.
Dopo 2 ore e mezza siamo fuori. Il nostro corpo ci lancia chiari segnali che abbiamo esagerato. L’ho già provata altre volte quella sensazione di nausea, è inequivocabile. L’andare in grotta porta progressivamente ad allungare il limite della stanchezza, a gestire i segnali del corpo esercitando un forte controllo mentale sulla fatica. Si impara a comprendere che il primo sintomo, quello che si riceve dal corpo in condizioni normali, quando ancora non si ha esperienza del controllo, in realtà è largamente cautelativo. Giustamente il nostro organismo, previdente, cerca di fermarci in tempo, in modo da mantenere un’ampia riserva di energie di scorta per la sopravvivenza. Ma se si ignora questo segnale allora si scopre che si può continuare ancora molto, moltissimo.
Il segnale successivo, la seconda chiamata, è appunto la nausea. Non so quale sia il terzo segnale…
Ci ritroviamo al Villa Anita a guardarci negli occhi davanti ai nostri piatti di pasta, sforzandoci di mandar giù lentamente i bocconi senza vomitare.
Ma ne è valsa la pena, eccome se ne è valsa la pena!
Francesco
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